Sport4LifeCoach raccontata dalla prospettiva di atleti, genitori e allenatori.
Massimo Canosi non aveva nessuna intenzione di lavorare con Sport4LifeCoach. «Mi ha chiamato la società dove alleno, mi ha detto che c’era la possibilità di una collaborazione. Io ero molto scettico nei confronti del coaching mentale. Molto. Pensavo: Ce la faccio benissimo da solo.»
Da tre anni Massimo insegna basket agli esordienti del GS San Martino. Ha iniziato ad allenare parecchio tempo fa, quando un infortunio ha messo fine alla sua carriera da giocatore. Ha smesso di allenare pensando che non fosse la sua strada, poi ci ha ripensato. È uno che ha l’intelligenza di cambiare idea.
Non aveva nessuna intenzione di lavorare con Sport4LifeCoach. E poi? «Poi è stata un’esperienza pazzesca.» Apre le braccia, quasi a misurare quanto grande sia stata quell’esperienza. «Utile per noi e divertentissima per i ragazzi. Abbiamo lavorato sulla fiducia. In un esercizio, per esempio, un ragazzo bendato doveva arrampicarsi su una parete ricevendo indicazioni da un suo compagno. Sono cose che poi ti ritrovi in partita: nei raddoppi di marcatura, quel ragazzo si fiderà del compagno che ha dietro. E i coach ci hanno aiutato molto sulla comunicazione. Per esempio abbiamo lavorato su parole-chiave da poter usare in campo.» I ragazzi che Massimo allena sono del 2013 e secondo lui c’è un elemento generazionale con cui fare i conti: «Un tempo si parlava tanto, adesso la comunicazione è difficilissima. Sia fuori che dentro il campo.»
Lo scetticismo iniziale si è trasformato in una convinzione decisa. «Lo sport è tecnica, è allenamento, ma è anche preparazione fisica e mentale. E non c’è sovrapposizione tra il ruolo dell’allenatore e quello del coach, la collaborazione è soltanto utile. Finché ti metti in discussione e sei curioso di imparare, vai avanti.»
Un altro allenatore, Peter Angster, guida la squadra regionale di sci alpino femminile della Valle d’Aosta. «La difficoltà principale nel lavoro è che bisogna toccare i tasti giusti con ogni atleta, per tirarne fuori il meglio. E ogni individuo è a sé.»
Il suo incontro con Sport4LifeCoach risale a quasi dieci anni fa. «Mi arrivò una telefonata da Sport4LifeCoach – i loro professionisti seguivavano e seguono ancora un’atleta della nostra squadra, Cecilia Pizzinato. La telefonata era per capire come collaborare per far crescere Cecilia, mettendo ognuno le proprie competenze. Non è un gesto che fanno tutti, anzi… Ci siamo trovati subito, umanamente e nell’approccio al lavoro. Infatti ha funzionato. In questi anni Cecilia ha rafforzato la consapevolezza, che era già una sua dote – ha imparato a capirsi meglio e a capire meglio cosa stesse facendo. In più ha aumentato la capacità di adattarsi agli stimoli esterni. Ma anche per me è stato un grosso aiuto collaborare con Sport4LifeCoach: mi ha fatto notare dettagli che dalla mia prospettiva di allenatore non potevo vedere, e mi ha dato degli strumenti per lavorare meglio.»
Se si percepisce nettamente, al livello sia sportivo sia extra-sportivo, l’interesse e la necessità per la preparazione anche mentale, Peter ha le idee chiare sulla diffusione della presenza di mental coach: «È diventata anche una moda, tanta gente si improvvisa. Ma io spingo tanto su questa figura, perché il nostro è uno sport pazzo: rincorri la neve, ti alleni dieci mesi all’anno per gare di cinquanta secondi…» dice, ridendo. Si rende conto di quanto servano professionisti seri e preparati per accompagnare con profondità gli atleti. «Conosco l’organizzazione e l’idea di fondo di Sport4LifeCoach, e penso che offra tutte le opportunità per migliorare al cento per cento. Secondo me è doping naturale!»
Lorenzo Carta ha diciannove anni e corre gli 800 metri nell’Atletica Vicentina, una delle migliori società italiane. «Gli ottocento sono la specialità più difficile, quella con l’allenamento più completo. Anche se tutti pensano che la loro specialità sia la più difficile» dice con un sorriso. L’atletica è arrivata nella sua vita quasi per caso, cinque anni fa. Non c’era una passione all’origine. Lo sport di Lorenzo era il calcio, ha giocato per anni. Poi è arrivato il Covid che ha interrotto l’attività. Quando ha provato l’atletica, a quindici anni, ha scoperto che gli veniva bene. Ma a spingerlo non è stata solo questa gratificazione. «Per un po’ ho continuato in parallelo, calcio e atletica. Poi ho deciso di concentrarmi sull’atletica, e la scelta ha pagato. È un ambiente che mi sembra avere più serietà dell’ambiente del calcio. E poi mi piace che dipende da me e non da altri, nel bene e nel male. In una partita di calcio, se sbagliavo io c’erano altre dieci persone che potevano intervenire. Qui è diverso.»
Si è rivolto a Sport4LifeCoach nel 2023, soprattutto per colmare la distanza tra le prestazioni in allenamento e quelle in gara: «In allenamento andavo forte, ma poi non rendevo: in gara non ero rilassato e sprecavo tutte le energie.» In sei mesi il suo tempo è sceso da 2:02 a 1:56. Curare la preparazione anche mentale, affidandosi a professionisti, gli sembra qualcosa di naturale, incentivato dall’esempio di atleti di primo piano. «Per esempio Marcell Jacobs, dopo la vittoria alle Olimpiadi, ha insistito tanto nelle interviste sull’importanza del piano mentale» dice Lorenzo.
In questa fase non è seguito da Sport4LifeCoach ma sta portando con sé, nel lavoro di tutti i giorni, gli insegnamenti che ne ha tratto. Sta riprendendo continuità dopo un infortunio che l’ha tenuto fermo per alcuni mesi e il suo obiettivo è «correre tranquillo», prima ancora di raggiungere un determinato tempo. «Il risultato è importante» spiega, «ma va considerato in un contesto più grande.»
A conclusioni quasi identiche arriva un genitore, Nelso Siorpaes – un’altra delle prospettive esterne capaci di spiegare Sport4LifeCoach. Nel suo caso c’è anche una conoscenza diretta e profonda del mondo dello sport («Fa parte della mia famiglia»). Dice Nelso: «Parlare con i propri figli è difficile. La presenza di un terzo, di cui ci si fida, rende molto più semplice la comunicazione.» Il maggiore dei suoi figli, Matteo, ha ventun anni e pratica lo sci di fondo a Cortina d’Ampezzo. Dopo il percorso juniores, oggi si allena da solo e viene seguito da un club che prepara le tabelle d’allenamento e lo accompagna alle gare. E Matteo viene seguito, da circa tre anni, dai professionisti di Sport4LifeCoach. È stata un’idea di Nelso: «A mio figlio serviva un aiuto per la gestione della parte emotiva e un confronto sull’allenamento. Si è creata da subito un’intesa e abbiamo instaurato un rapporto di cui sono davvero contento. Devo dire che sono stato fortunato a incontrare la loro sensibilità. E trovo che il nome ‘Sport4Life’ sia calzantissimo: perché in effetti da un approccio solo sportivo si è passati a qualcosa di più ampio.» Affidarsi a un mental coach, dice, «ormai è un’abitudine per chi pratica lo sport a un livello almeno dignitoso. Ma allenare la sfera mentale non è come allenare un muscolo: c’è bisogno di tempo, è una crescita personale complessiva.» E servono le giuste competenze.
Riguardo gli orizzonti di Matteo nello sci di fondo, Nelso dice saggiamente che l’obiettivo è «vedere dove può arrivare.» Nessun culto del risultato, nessuna riduzione dello sport a una specie di spada che divide vincenti e perdenti, successo e fallimento. «L’emotività di Matteo è sempre lì. La novità è che lui sta facendo un’analisi degli aspetti interiori e sta raccogliendo strumenti per gestirla, l’emotività. Mio figlio cresce, si trasforma come persona. Questo per me è il grande valore del sostegno di Sport4LifeCoach.»
Tommaso Giagni